lunedì 7 settembre 2009

Alphonso Ford's Story I° Parte




“Alcuni uccelli non sono fatti per la gabbia, questa è la verità. Sono nati liberi e liberi devono essere … e quando volano via ti si riempie il cuore di gioia perché sai che nessuno avrebbe mai dovuto rinchiuderli” [dal film LE ALI DELLA LIBERTA‘ - The Shawshank Redemption]


Chi pronuncia queste parole è uno dei più grandi attori delle ultime quattro/cinque decadi, Morgan Freeman, per l’occasione vestito coi panni del carcerato nella prigione di Shawshank, Ellis Boyd Redding, per tutti “Red“. Nella pellicola, la metafora riassume sostanzialmente l’intera trama riferendosi direttamente al protagonista Tim Robbins, alias Andy Dufresne, innocente, oppresso dal sistema ma infine vincitore, perché lui è uno di quegli “uccelli”. “Free at last” sentenzierebbe Tupac Shakur. Freeman (mai cognome fu più azzeccato in rapporto alla citazione), che sotto la regia di Frank Darabont spara pillole di verità assoluta, soprattutto in versione voce narrante, è originario di Memphis ma durante la giovinezza visse abbastanza a lungo in una cittadina di nome Greenwood che anni dopo regalerà al basket europeo una brillante ed indimenticabile perla nera di nome Alphonso Ford. Ecco, lui non era fatto per questa “gabbia“, lo posso garantire.


Il lascito che Ford ha concesso a tifosi ed appassionati prima di prendere la sua strada, sta tutto in quei brevi ma folgoranti decimi di secondo che trascorrevano dal rilascio della palla a spicchi fino allo “swish” semi – automatico con cui si concludeva la parabola della stessa. Il tempo di un respiro ma goduto in ogni sua molecola d’ossigeno. La grandezza di “Fonzie” non era dovuta esclusivamente alle mirabili doti da bombardiere, anzi. Ogni movimento era impregnato della sua signorilità e classe, di quell’aura da baronetto creata forse non casualmente dai baffetti che pareva riuscissero a raddoppiare l’intensità di ciascun sorriso.


Proprio il suo riso riusciva magicamente a mescolarsi poi con un fisico da body builder oppure, visto il cognome, da “Ford Mustang”: dinamicità, eleganza, possenza e potenza. Un cocktail raro in una guardia di 192 centimetri (anche se dal vivo, una manciata erano abbondantemente estraibili) per quasi 100 kg, la cui sintesi estrema stava nell’ammorbante delicatezza del tocco: come la “buttava” dentro Alphonso erano in pochi a permetterselo. Uno spartito variegato ed infinito, dalle triple alle penetrazioni, dall’arresto e tiro al gioco in post basso, fino all’amica riga di fondo, con la sconquassante massa muscolare che faceva il resto. L’Nba l’aveva scartato proprio per le sue caratteristiche fisiche ed atletiche: allora grazie, perché altrimenti non l’avremmo mai goduto così a fondo.


E’ il 31 ottobre 1971 quando tutto ha avuto inizio. Le radici di Alphonso Gene Ford si situano per l’appunto a Greenwood nel “Magnolia State”, il Mississippi, a metà della strada che congiunge Greenville (dove il Mississippi, fiume stavolta, si mostra come il frutto coreografico e arzigogolato del genio di qualche artista e dal cui delta gli abitanti dell’area prendono il soprannome di “deltans”) con Starkville, ad est della quale si staglia il campus di Mississippi State University (che al mondo del basket ha donato soprattutto Jeff Malone, 12 anni di vita spesi in doppia cifra abbondantissima tra Washington, Utah e Phila; Erick Dampier, attuale centro dei Dallas Mavericks ed ex non proprio indimenticabile di Golden State; e il problematico ma unico Dontae’ “cavallo pazzo” Jones, che fu il simbolo della promozione in serie A della Pompea Napoli nel 2001/2002, salvo risultare positivo all’assunzione di metaboliti di Thc (cannabis) l’anno successivo, in seguito ad una gara di campionato archiviata con 27 autentiche perle a referto contro la Scavolini Pesaro, la società che nel giro di due anni materializzerà l’arrivo di Ford nelle Marche). Un giorno non ben precisato della sua infanzia, Al si ritrovò faccia a faccia con un pallone da basket e capì fin da subito che l’amore a prima vista esiste ed è un qualcosa di trascinante, una forza misteriosa che dopo averti catturato non ti abbandona più. Il pupo apprende in fretta e allo sviluppo fisico, accompagna anche una notevole crescita tecnica con un “surplus” non da tutti: la percezione costante che in quel cesto di “bocce” se ne possono infilare realmente due. Senza troppi soldi a disposizione ma senza nemmeno particolari pensieri per la testa, il giochino si tramuta ogni giorno di più in una ragione di vita.


Siamo a metà degli anni 80’ ed è giunta l’ora, per il giovane figlio di Albert e Matilda Ford, di scegliere l’High School cui prestare i propri servigi scolastici e sportivi: facile, si va alla locale Amanda Elzy HS, distante non più di un miglio dalla verdeggiante Main Street, la via centrale di Greenwood. Tra le varie ragioni ne sbuca anche una cestistica.


Nella sezione Basketball del liceo è infatti da poco annoverato il nome di Gerald Damon Glass, cui il tempo affibierà l’appellativo di “World Class”: guardia dalle spiccate doti realizzative, Gerald si apprestava (proprio nel 1985) ad entrare alla Delta State University, dopo aver chiuso alla grande la sua formazione liceale; discreta la prima annata , da cineteca quella successiva, conclusa oltre i 26 di media ad allacciata di scarpe, il che gli vale un biglietto di sola andata per la University of Mississippi, “Ole Miss” per tutti. La grandine non smette di venire giù ed anzi, con la casacca dei “Rebels”, Double G entra a pieno titolo nella storia. Il 3 marzo 1989, al Tad Smith Coliseum, si sfidano Ole Miss e Louisiana State University, comandata dalla super stella Chris Jackson, un autentico manuale vivente del gioco affetto dalla sindrome di Tourette che anni dopo incanterà anche Roseto e l’Italia intera sotto il nome di Mahmoud Abdul – Rauf. Sarà stata l’acqua o l’aria ma quella divenne la sera giusta: i presenti all’incontro infatti si poterono schiodare dalle seggiole solo dopo 45 intensissimi minuti, che videro Glass & co. spuntarla per 113 – 112 senza la benché minima cura delle coronarie dei suddetti astanti. Direte – “non è poi così strano!”. Ok, allora aggiungiamo che in QUELLA serata “World Class Glass” sverginò 53 volte il ferro, mentre “Chris ma tra un po’ Mahmoud” esplose (e rispose) con altri 55, sparati con addosso ancora la nomea di freshman… Tripudio, leggenda e record infranti “in the perfect night”. Geraldo in seguito verrà scelto al n. 20 dello stesso draft di Toni Kukoc e Stefano Rusconi da Minnesota; dopo sette stagioni di gregariato Nba, giungerà perfino una chiamata italiana da parte della Jcoplastic Napoli di serie A2: anno di grazia 1994/95 ed anche allora si andò di beneficiata ogni singola sera, con le perle del doppio 38 rifilato alla Polti Cantù e alla Juve Caserta, più i 39 sparati al Menestrello Cervia di un giovanissimo Scarone, Nino Pellacani, Larry Middleton e Zanus Fortes. Ah già, era anche l’anno in cui Carlton Myers distrusse con 87 punti la Libertas Udine…


Chiusa parentesi, Glass (che oggi allena proprio la squadra della sua ex HS) era tuttavia già una figura modello all’epoca di Amanda Elzy per i giovani di Greenwood e tra questi, come detto, non tardò ad arrivare il suo successore nella persona e nel sorriso contagioso del “nostro” Alphonso. Il playground, il canestro all’aperto l’avevano cresciuto indicandogli la via, ora però aveva inizio un altro mondo. A vederlo in viso Al sembra più maturo degli altri compagni e cosi anche il suo gioco, già di un altro livello: tutto gli viene facile e al liceo “starreggia” alla grande. Cresce specialmente sul piano offensivo, affinando il tiro, la velocità nell’ 1vs1 e la capacità di chiudere nel traffico, così qualcuno inizia a mettere il nome “Ford, Alphonso Gene” sul taccuino. Arriva l’anno da senior e perciò anche il tempo di prendere una nuova decisione. In zona era personaggio di culto tale Lafayette Stribling, rinomato coach/educatore della Mississippi Valley State University e amante della filosofia per cui “tre son meglio di due sempre e comunque”: in sostanza più si segna, più ci si diverte e meglio si sta. Alphonso e famiglia apprezzano: la SWAC (Southwestern Athletic Conference) in cui giocherà il figliol prodigo è discretamente competitiva anche se non eccelsa, il college è notoriamente una “black university” e la vicinanza del campus a Greenwood (circa 8 miglia) non guasta. Fatta. Alphonso sale al piano successivo e coach “Strib” a momenti crederà anche di aver pescato un moderno Pete Maravich, non per la creatività e l’estro ma per quella perizia nel mettere punti a referto che permise al compianto “Pistol Pete” di chiudere a 44 di media un’intera stagione collegiale. Si dice che negli Stati Uniti fino ai 21 anni puoi fare poco o nulla, ad ogni modo il diciottenne “Fonzie” asfalta i diretti avversari con facilità disarmante e da freshman ne mette 29.9 ad allacciata di scarpe, comprese 104 bombe nelle 27 gare disputate (quarto di tutti i tempi nella speciale classifica capitanata, dallo scorso anno, da Stephen Curry di Davidson University) e 51 punti in febbraio contro Texas Southern. E’ un novellino ma ognuno lo segue, perché leader si nasce. Il secondo giro di roulette fa spavento: 32.7 punti di media in 28 uscite serali (secondo in tutta la nazione dietro Bo Kimble di Loyola Marymount, compagno ed amico fraterno di Hank Gathers, uno dei più grandi prospetti dell’epoca morto sul campo circa tre settimane dopo l’exploit di Ford vs TSU) e qualsiasi record dei Delta Devils, riguardante tiri o punti, disintegrato. Ora anche la Nba butta un occhio su quel ragazzotto del Mississippi dalle poche parole ma dal grande sorriso. Le successive due stagioni, poi, il team cresce di livello e pur abbassando le sue medie realizzative (rispettivamente 27.5 e 26), Al riesce a vincere la SWAC: tutto ciò che era in grado di fare l’aveva portato a compimento e i 3165 punti accumulati diventano il quarto miglior risultato nella storia della Division I Ncaa. Nella “Senior Night” si congeda non solo da coach Stribling e tifosi ma anche da casa sua, perché ormai il volo è iniziato.


Con credenziali di simile portata, gli viene riservato un posto al draft Nba del 30 giugno 1993, lo stesso di Marcelo Nicola e di C-Webb: a sceglierlo al secondo giro sono i Philadelphia 76ers, con la pick n. 32. Qualcosa non quadra fin dal training camp e dopo spiccioli di partite, il 3 novembre viene rilasciato. L’anno nuovo, che l’ha visto scollinare oltre i 22 con la casacca dei non indimenticabili Tri-City Chinook della Cba, gli regala un’ulteriore chance, stavolta ad “Emerald City”: la sorte però non accenna a cambiare nemmeno a Seattle e lo stesso accadrà prima a Los Angeles, sponda Clippers, poi nuovamente nella Città dell’Amore Fraterno, così l’unica valvola di sfogo resta la Cba, che peraltro domina con nonchalance. Tra una balla e l’altra sono comunque trascorsi due anni dall’ingresso di Al nella Lega e a quanto pare, quella nostalgia che spesso si dice attanagli i giocatori provenienti dalle lande del Mississippi sembra aver colpito anche il giovane Ford. A volte tuttavia, semplicemente non comprendiamo appieno con chi abbiamo a che fare: cuore e orgoglio fanno rima con Alphonso. Qualche giorno passato a Greenwood, il tempo di riflettere e prendere fiato, poi: “fai quello che devi” gli hanno detto i genitori. Preparate le valigie Al riprende il suo volo, direzione Spagna, dove trova un ingaggio all’ SD Peña Huesca (in Aragona), squadra che fu anche del grande Rimas Kurtinaitis. In Europa, dove al carattere e ai sentimenti di una persona viene data maggiore importanza rispetto al “business’ world” americano, Alphonso Ford si dimostra per quello che è veramente: un ragazzo semplice, perennemente disponibile ed educato, mai altezzoso e con quella peculiarità del saper giocare a basket divinamente che in fondo unisce tutto e tutti. Come biglietto da visita infatti manda in archivio sui 25 punti ad uscita; ciononostante, i radar dei migliori club del continente non si accorgono di nulla e così “Fonzie” è costretto a compiere un altro viaggio “minore” che lo conduce in Grecia, al Papagou inizialmente e allo Sporting Atene poi. Cambiano i colori delle canotte ma non quello dello Spalding e per Alphonso riempire le caselline dei referti rimane un automatismo: al primo impatto è subito il top scorer in terra ellenica. Il vento, che lo ha sbalzato di qua e di là come fosse un neo – Ulisse, sembra improvvisamente cambiare i suoi progetti e tranquillizzarsi proprio nelle vicinanze della dimora del suo mitico padrone, il dio Eolo. Alphonso compie il mestiere con la consueta classe e finalmente il Vecchio Continente scopre, in una delle sue miniere più prolifiche, una perla nera forte come un toro ma aggraziata e risoluta come una pantera che a più di 10000 km dal nido natale riassapora l’aria di casa.


E’ il 1999 quando anch’io sento per la prima volta parlare di Ford, acquistato dal Peristeri, società ateniese in netta ascesa nel panorama cestistico nazionale e non. La classica news breve su Superbasket basta per inserire un altro nome americano nell’archivio mnemonico ma, se molti sono cancellati dal tempo, alcuni restano “senza fine” come direbbe Gino Paoli. Al ci mette all’incirca un giorno per entrare nel cuore dei tifosi gialloblu senza mai più uscirne; il Peristeri mi sta simpatico a pelle vista anche la combinazione di colori identica a quella dell’Auxilium Torino (casa mia sostanzialmente) e Ford, che sceglie il 10 come numero di maglia, quello dei fantasisti di calcio, quello di Zvonimir Boban nel mio Milan, lo ammiro pure dal mero punto di vista dell’amante di statistiche quale sono.

martedì 1 settembre 2009

Euroleague 2009/2010 pt. II



Secondo e conclusivo viaggio nel mercato delle squadre di Eurolega. Si comincia con altre due squadre italiane, entrambe con le carte in regola per puntare almeno alle “Top 16”: Milano e Roma. L’Armani Jeans, in cerca di maggiore continuità rispetto agli enormi alti e bassi dello scorso anno vissuti sui parquet continentali, ha optato per un cambiamento radicale delle pedine più importanti del mosaico. Partito David Hawkins, il ruolo di scorer sarà affidato alle sapienti mani di Alex Acker (guardia da Compton, ex Pistons, Olympiakos, Barcellona e Clippers), il cui unico problema è forse la solidità mentale; a fargli da sparring partner nel reparto dei “piccoli” ci sarà poi Morris Finley, chiamato ad una stagione sopra le righe dopo essersi liberato dalle briglie del ruolo di cambio di Terrell Mc Intyre. L’acquisto di “Mo” e Acker ha comportato delle scelte ben precise, di cui a farne le spese sono stati Luca Vitali e Hollis Price che si aggiungono al solito “caso Bulleri” (ritenuti ormai non necessari, sono “imprigionati” da contratti troppo onerosi per le squadre dalle quali sono pervenute richieste). Tre situazioni diametralmente opposte alle conferme di Mordente, Hall, Beard e Mason Rocca, fortemente volute da coach Piero Bucchi, il quale ha chiesto alla dirigenza anche più sicurezza e meno scommesse tra i volti nuovi: in questo senso si spiegano le solide prese della coppia lituana Jonas Maciulis (ex Zalgiris) e Marijonas Petravicius (vincitore e dominatore della Final Eight di Eurocup con il Lietuvos Rytas), più l’aggiunta di Stefano Mancinelli in seguito al disastro societario della Fortitudo; l’unica non certezza è invece l’interessantissimo Jeffrey “Jeff” Viggiano (25enne ala proveniente da Pavia), ma la coperta è abbastanza lunga per mascherare eventuali difficoltà. I pezzi del puzzle saranno stavolta quelli giusti?


Se lo chiede anche Nando Gentile che, dopo l’uscita anticipata con Biella nei play off dello scorso campionato, spera di non trovarsi di fronte altre brutte sorprese. I grandi colpi della passata estate hanno già fatto le valigie, salutati senza molti rimpianti (con l’unica eccezione di Roberto Gabini, comunque finito ai margini della rotazione da tempo): Brandon Jennings (finalmente felice a Milwaukee, dopo essere stato selezionato al #10 del draft Nba), il duo sloveno Becirovic – Brezec (ora a Philadelphia), ma poi anche gli arrivi in corsa (rispettivamente febbraio e maggio) di Ruben Douglas e Jurica Golemac. Si riparte quindi da chi qualche segnale positivo l’ha dato e perciò il primo nome a venire in mente è quello di Ibrahim Jaaber, leader ormai indiscusso del team capitolino. Oltre a lui, il premio della ri-conferma per il lavoro svolto è andato pure ad Andre Hutson (a tratti devastante ma in netto calo negli ultimi due mesi di stagione), cui farà ancora compagnia il blocco italo - spagnolo formato da Gigli, Giachetti, Tonolli, Datome e De La Fuente, con la speranza di vedere definitivamente esplodere il quarto di questi. A completamento del quadro, il GM Bottai e il presidente Toti hanno acquistato Andrea Crosariol (prelevato in Irpinia per non farlo restare nel limbo dell’eterna promessa), Kennedy Winston (“usato sicuro” in uscita dal Real) più la freschezza e l’atletismo di Ricky Minard (ex Reggio Emilia e Montegranaro) e Hervè Tourè (ex canturino), entrambi bisognosi di verifica ai massimi livelli. Come ogni anno è d’attualità dire: “Roma non fà la stupida sta…volta”.


Compagine al solito di notevole attrattiva è l’Asseco Prokom Sopot, campione di Polonia, che invertendo il trend degli ultimi anni ha puntato con decisione sulla continuità (e che continuità!). Il front office ha infatti ri-firmato in massa, per la gioia dei tifosi giallo-neri, il super trio composto da David Logan (eccentrico ed elettrizzante bomber fresco di passaporto polacco), Qyntell Woods (top scorer ed MVP delle finali locali contro il Turow, dopo i problemi con la Fortitudo) e Daniel Ewing (l’ex Khimki scuola Duke, eccelso play dalla grande lettura di gioco), più gli affidabili Tyrone Brazelton (ex Western Kentucky) e Filip Dylewicz. Una base estremamente solida dunque, cui è stato aggiunto il graditissimo ritorno di Pape Sow (altro ex “italiano” dopo le esperienze a Rieti e Milano) e a cui mancano giusto un paio di tasselli per rendere il team addirittura papabile di ingresso nell’Elite Eight d’Eurolega.


Stesso obiettivo sulla carta del Khimki Mosca, nonostante gli addii dolorosi a Carlos Delfino (scambiato da Toronto e spedito a Milwaukee per far compagnia a Jennings), Maciej Lampe (Maccabi), Jorge Garbajosa (Real Madrid) e Teemu Rannikko (Granada). Della “vecchia guardia” ci saranno ancora Timofey Mozgov, V. Zaytsev, Petr Gubanov, Igor Smygin (quasi tutti giovani di belle speranze) ma soprattutto Vitaly Fridzon e Kelly McCarty, ormai due simboli del club moscovita, in campo e fuori. Ad essi sono stati affiancati giocatori di grande spessore: il primo in ordine di tempo, e forse il più importante, è l’ex virtussino Keith Langford, che da Bologna è andato via a malincuore lasciando anche pesanti strascichi di polemica per come è stato “trattato”, e da cui ora passeranno molte delle fortune di squadra; a seguire a ruota, gli spagnoli Raul Lopez (ex Utah Jazz, Girona e Real, un tempo paragonato a John Stockton) e Carlos Cabezas (divorziato da Malaga dopo esserne stato una bandiera) che portano tiro, talento ed esperienza ma anche la fragilità fisica del primo e qualche limite tecnico del secondo; i rocciosi ed energici lituani Paulius Jankunas (dallo Zalgiris Kaunas) e Robertas Javtokas (partecipe della fallimentare stagione della Dinamo Mosca); infine Sergey Toporov e Fedor Dmitriev (compagni al Triumph Lyumbertsy), chiamati a far la differenza specialmente nel campionato russo, dove vige l’obbligo di almeno due autoctoni sempre in campo (anche se la naturalizzazione russa di McCarty in questo caso aiuta). Allora ci si domanda: dopo questo mercato, il CSKA è più vicino o più lontano? Dalla risposta dipenderanno probabilmente anche le sorti dell’ex squadra di Pozzecco in Eurolega.


A i blocchi di partenza vengono poi riproposte tutte le volte due squadre che hanno fatto la storia del basket europeo: Partizan Belgrado e Cibona Zagabria. I bianconeri del grande coach Dusko Vujosevic hanno ormai consolidato in tradizione la filosofia di puntare sui giovani talenti del proprio infinito vivaio: in rampa di lancio, dopo le cessioni di Tepic (Panathinaikos), Velickovic (Real Madrid) e Lasme (Maccabi), ci sono i due ’89 Vladimir Lucic (guardia di 2 metri) e Darko Balaban (centro di 2.10), i ’90 Bogdan Riznic e Jan Vesely (simili fisicamente ai due precedenti, anche se più leggeri e meno fisici), infine il ’92 Nemanja Besovic (grezzo centro di 2.19). Ad essi si è poi aggiunta un’ultim’ora: il 18enne Branislaw Djekic, dall’FMP Zeleznik. Ad insegnargli il mestiere poi ci sono le altre conferme dell’anno passato come Strahinja Milosevic, i play Rasic ed Aleksic, i due pivot Zarko Rakocevic e Slavko Vranes (promessa mai sbocciata del basket serbo nonostante i suoi 230 centimetri), più i rientranti alla casa madre Petar Bozic e soprattutto Dusan Kecman (dal Pana), che sarà la punta di diamante del sistema offensivo di Vujosevic. Mancano stranieri “as usual” (anche se è probabile il ritorno di Milt Palacio), ma se per qualcuno pure stavolta gioventù e talento non sembrano essere al livello degli anni passati, della banda Partizan è sempre meglio non fidarsi.


Idem dicasi per la squadra che fu del compianto e sensazionale Drazen Petrovic, il “Mozart dei canestri”. Congedati giocatori importanti come l’ex virtussino Alan Anderson, il play Earl Calloway (al Cajasol dove farà coppia con Maurice Ager), l’altro play/guardia Davor Kus (a Treviso) e Rawle Marshall, il club croato ha raggiunto diversi accordi interessanti: il ritorno in patria di Dalibor Bagaric (ex Chicago Bulls e Fortitudo) ad esempio, o l’ingaggio di un altro ex fortitudino, Jamont Gordon, e quello di Antonio Graves dal Galatasaray, o ancora l’addizione del talentuoso Bojan Bogdanovic (Real). Insieme a Marin Rozic e Nikola Prkacin saranno tutti agli ordini del neo allenatore Velimir Perasovic (ex Efes e Galatasaray), il quale avrà l’arduo compito di emulare le imprese vissute nell’ultima (ottima) annata.


Restando in zona bussiamo alla porta dell’Olimpija Lubiana che, nonostante le crisi finanziarie delle ultime stagioni, in Eurolega c’è sempre e comunque, riuscendo sovente persino a dire la sua. Sotto i riflettori della storica Tivoli Arena, i primi movimenti di mercato erano andati in porto già agli inizi di giugno con il doppio acquisto del girovago play (ex, tra gli altri, di Iraklis, Lokomotiv Rostov e Bosna ASA Telecom) Dusan Djordjevic e del centro ex Colonia, Edin Bavcic: concretezza dunque al servizio di Jure Zdovc. In seguito, a scapito delle partenze di Rudez e Mirza Begic (finito allo Zalgiris), sono stati fatti notevoli sforzi per migliorare e completare il roster: così sono giunti l’ala tiratrice ex Florida University Matt Walsh, la 23enne guardia polacca Pawel Kikowski e colui che fu anche denominato “la grande speranza bianca”, ovverosia Nemanja Aleksandrov (22enne ala serba di 2.10 dalle innate doti cestistiche, il cui volo è stato a lungo interrotto da seri infortuni alle ginocchia), che in molti sperano possa tornare quello di 4-5 anni or sono. I nuovi arrivi hanno cominciato la preparazione insieme ai giocatori confermati, tra i quali spiccano i nomi della guardia Saso Ozbolt, del nazionale montenegrino Vladimir Golubovic (centro di 2.12 classe ’86) e dei tre giovani che rappresentano il futuro, ma anche il presente, dell’Olimpjia: l’atletica guardia e nazionale sloveno Jaka Klobucar, il centrone serbo plurivincitore di Europei giovanili Dejan Radojevic e la 19enne ala slovena Matic Sirnik. Inoltre coach Zdovc può contare anche sull’ex Barça, Roma, Siena, Virtus e Tau, Vlado Ilievski, il quale (al momento infortunato) è però attirato da varie sirene, soprattutto spagnole.


E’ il momento di spostarsi sul Baltico ed analizzare il mercato delle due lituane: Zalgiris Kaunas e Lietuvos Rytas. Lo storico club bianco verde, vero simbolo del basket lituano, è in un periodo di gravi difficoltà economico-finanziarie che hanno impedito nell’ultimo lustro la costruzione di squadre altamente competitive in Europa, com’era abitudine un tempo. I pezzi pregiati del roster sempre più sovente prendono strade che conducono al di fuori dei confini nazionali: è il caso dell’ormai ex capitano Paulius Jankunas (andato al Khimki) e di Jonas Maciulis (Milano); poco è mancato poi che salutasse tutti anche Mantas Kalnietis, vicinissimo all’accordo con Treviso. In un modo o nell’altro, tuttavia, la squadra è stata ultimata e il mix di acquisti e conferme appare tutto sommato positivo. Restano il bomber Dainius Salenga, la concreta ala forte Tadas Klimavicius, il play classe ’88 (alto ma razzente ed atletico) Zygimantas Janavicius, il solido rendimento di Povilas Butkevicius, più Milaknis, Vasiliauskas e il già citato Kalnietis. Dal mercato giocatori invece coach Maskoliunas ha ricevuto l’apprezzatissimo ritorno di Marcus Brown (visto pure a Treviso), un duo lituano “doc” composto da Martynas Pocius (uscito da Duke University senza troppe certezze) e Povilas Cukinas (ex canturino, compagno di Klimavicius nella nazionale juniores sei anni fa), il sopracitato Mirza Begic (da Lubiana) e per concludere, l’ex Fortitudo e Milano Travis Watson, predatore di rimbalzi come pochi. Il materiale per ora c’è e non è nemmeno disprezzabile, ma anzi può rendere lo Zalgiris un’autentica mina vagante.


Cosa viceversa piuttosto complessa per il Lietuvos Rytas, che da questa estate è uscita con le “ossa rotte”. Gran parte dei membri del team vincitore dell’Eurocup hanno infatti preparato ben presto i bagagli e si sono accasati altrove (Eidson al Maccabi, Petravicius a Milano, Lukauskis al Villeurbanne). Come da usanza però, i rimpiazzi a disposizione del vincente coach (e un tempo fantastico giocatore) Rimas Kurtinaitis sono specialmente di nazionalità lituana: il nuovo corso punterà molto sulle doti balistiche di Donatas Zavackas (ex Pittsburgh University, poi Udine, Dnipro e Siauliai), Arturas Jomantas (fondamentale pedina dello scacchiere del Rytas), Steponas Brabauskas (riconferma per l’ex Varese e Scafati), Lukas Brazdauskis (20enne proveniente dalle giovanili), Evaldas Daynis, Martynas Gecevicius (play/guardia classe ’88), Michailas Anisimovas e Justas Sinica (dal Vilnius Sakalai). I soli stranieri sono il pivot australiano Aron Bynes (visto alla summer league con la canotta dei lakers) e il trittico serbo costituito dal confermatissimo Milko Bjelica, il suo alter-ego Dejan Borovnjak (dal Vojvodina) e il play di stazza ex Dinamo Mosca Bojan Popovic. Manca “qualcosa” che forse arriverà, ma per ora le possibilità della compagine di Vilnius appaiono ridotte.


Passiamo ora all’Asvel Villeurbanne di Vincent Collet, allenatore “part-time” della nazionale francese che disputerà i prossimi campionati europei in Polonia dopo aver vinto l’Additional Round comprendente anche l’Italia e la successiva sfida finale (andata + ritorno) contro il Belgio. Dal club transalpino sono partiti in direzione Italia l’ex Livorno ora ad Avellino Chevon Troutman e l’ex Soresina ora all’NSB Napoli Jr Reynolds. Le mosse di riparo della dirigenza dell’Asvel non si sono però fatte attendere: dopo aver sottoscritto un quadriennale con la rivelazione Thomas Huertel (dal Pau Orthez), sono stati perfezionati accordi con Kristjan Kangur (nazionale estone di 2.04), Mindaugas Lukauskis (dal Lietuvos Rytas), l’ex trevigiano Bobby Dixon, il play/guardia TJ Parker (ex Nancy e fratello del più noto Tony) e il centro ex Utah Jazz e Granada Curtis Borchardt. Non solo novità comunque: i nazionali francesi Ali Traorè, Laurent Foirest (ormai ex nazionale ma sempre verde nonostante le 36 primavere) e Aymeric Jeanneau rimarranno fedeli pretoriani di Collet, così come Eric Campbell (ex Hapoel Holon), Benjamin Dewar e Bangaly Fofana mentre i dubbi sulla posizione di Amara Sy sono stati sciolti e non sarà più un giocatore dell’Asvel . Grande interesse dunque attorno ad una compagine ben distribuita in ogni ruolo e che può puntare a qualche “bottino completo” anche su alcuni parquet di spessore d’Europa.


Per concludere con la rassegna di squadre sicure del posto in Eurolega, ci sono i campioni di Germania dell’ Ewe Baskets Oldenburg. I punti di forza dei teutonici stanno soprattutto nel “reparto americani”: l’ex Arizona Jason Gardner, il tiratore ex Missouri Ricky Paulding e Je’kel Foster (confermati), più l’ex Texas A&M Josh Carter. Ad essi va aggiunto poi Ruben Boumtje-Boumtje centro di scuola americana che ha assaporato l’Nba ad Orlando e Cleveland. A completare il roster ci sono infine il bosniaco Marko Scekic, gli autoctoni Marco Buljevic, Daniel Hain e Daniel Strauch, il croato Jasmin Perkovic e il serbo Milan Majstorovic. Una formazione però che non sembra destinata a rimanere indimenticabile, nonostante il buon reparto di guardie/ali.


Rimangono ancora due piazze libere nel tabellone generale e queste verranno fuori dal “Qualifying Round” ad otto che comprende: la Benetton Treviso (con le conferme di Gary Neal, CJ Wallace e Sandro Nicevic; gli innesti di Hackett e Motiejunas, J. Hukic, Kus e Cartier–Martin), l’Aris Salonicco di Andrea Mazzon e Mario Boni (notevoli le prese dell’ex Siena e Barça Kakiouzis, dell’ex Orlando Jeremy Richardson, dell’ex Iowa State Curtis Stinson, del duo ex Panathinaikos Demos Ntikoudis – Nikos Hatzivrettas, più le conferme di Papanikolaou ed Andrew Betts), l’Alba Berlino (partenze importanti dell’ex Napoli e Milano Ansu Sesay, del tiratore bianco ex Stanford University e Phoenix Suns Casey Jacobsen; conferme di Steffen Hamann, Blagota Sekulic, Julius Jenkins, Immanuel McElroy, Adam Chubb, Rashad Wright più gli unici due arrivi finora di Kenan Bajramovic dal Turk Telecom Ankara e Lee Cummard da Brigham Young University), l’altra greca del Maroussi (con gli arrivi di Jamon Gordon, quasi omonimo dell’ex Fortitudo, Michalis Pelekanos, Jared Homan, marios Batis e Levon Kendall, più i ri-firmati Billy Keys, ex Varese, Kostas Kaimakoglu, Dimitrios Mavroeidis, Pat Calathes, Georgios Diamantopoulos), le due francesi Le Mans (con gli “italiani” Dewarick Spencer ex Virtus, Marc Salyers ex Novara e Guillaume Yango ex Sassari e Teramo, più il talentuoso play classe ’89 Antoine Diot, il brasiliano Joao Paulo Batista, l’altro play Zack Wright e l’esperto Thierry Rupert) e l’Entente Orléanaise Loiret (insieme all’eterno Laurent Sciarra, giovani sulla rampa di lancio come Aldo Curti, Adrien Moerman, Johwe Casseus e Ludovic Vaty, più il trio di americani composto da Austin Nichols, Tony Dobbins e CedricK Banks), i belgi dello Spirou Charleroi (con i confermati Len Matela, Wes Wilkinson, il bomber Jerry Johnson, l’ex play senese dalle gambe atomiche Justin Hamilton e l’occhialuto Andre Riddick, cui si sono aggiunte le novità Chris Hill da Liegi e Nick Jacobson da Domzale, Slovenia) e infine i lettoni del BK Ventspils (con 11 giocatori autoctoni, tra cui spunta il 2.07 nazionale Ronalds Zakis, e due americani, nelle persone di Bernard King, ex Texas A&M, e Warren Carter, ex Illinois).