venerdì 13 novembre 2009

Pagine di Basket___1




Per chi vuole leggere di basket, farsi… “un po’ di cultura cestistica”, ecco alcuni dei libri che ho divorato, visto, sfogliato, amato, apprezzato e portato in giro per il mondo…


- In cima, punto di riferimento assoluto, c’è la trilogia sportivo-letteraria a cura di Federico Buffa: Black Jesus, Black Jesus 2, Black Jesus – The Anthology. Non vorrei sembrare blasfemo, ma a mio parere una “Bibbia della pallacanestro”.


L’ “Avvocato”, come è noto, rappresenta la metà artistica e aneddotica (ma non solo…) della fantastica coppia di telecronisti “Tranquillo&Buffa” ed è per molti (me compreso) autentico personaggio di culto dell’ambiente cestistico made in USA. Buffa possiede un incredibile “cervello” per questo meraviglioso sport di cui riesce a raccontare ogni minima sfaccettatura in uno stile originale ed incomparabile. Tra le altre cose è anche uno sfegatato tifoso milanista, come il sottoscritto, ed è spesso e volentieri voce di commento anche all’interno di specifici programmi in onda su Milan Channel. Insomma, riassumendo: come lui non ce n’è. La trilogia comprende racconti su personaggi incredibili, eventi che (non) hanno cambiato la storia di questo giochino, pieghe sorprendenti del magico mondo americano ed ognuna di queste narrazioni è documentata e riportata tramite i cavilli dell’esperienza diretta o con il più basso dei “gradi di separazione”, interagendo con persone o luoghi che hanno vissuto appieno il fatto/tema in questione. Fulcro di tutto, meglio non scordarselo mai, resta il pallone a spicchi, il migliore e il più fedele degli amanti.


“Black Jesus” è dedicato a tutti coloro che amano non solo la realtà dei fatti ma anche la loro potenzialità artistica ed immaginativa. Chi non condivide, prego astenersi.


Un estratto dal capitolo dedicato a


Raymond Lewis: Il più grande che non sia mai esistito”


“In fondo a South Central, a partire dalla fine degli anni Sessanta, iniziava il principato di Raymond Lewis, l’uomo che faceva piovere (“Make it rain, Ray Lew, make it rain”). La leggenda parla chiaro: “The greatest who never was”, il più grande che non sia mai esistito.


Chissà perché le leggende dell’asfalto americano non muoiono mai nei giorni normali. Earl Manigault chiuse gli occhi assieme a Frank Sinatra, Rey Lew ha lasciato scivolare l’ultimo pallone il giorno che Allen I ha stretto forte il suo primo trofeo da MVP all’All-Star Game. Correva l’11 febbraio 2001. Ogni paragone con Ive è assolutamente non casuale. George McQuarn, che allenava Lewis a Verbum Day, […] ha sempre ricordato a tutti che il Principe era nella categoria di Allen I. No, un momento. Più forte.


[…] Chi lo ha visto dice che trattava la palla molto meglio di gente che aveva anelli Nba al dito e il rapporto tra difficoltà e distanza di tiro era da intendersi così: tirava da 4 metri come gli altri da 2 e pare fosse lecito proseguire la proporzione con le cifre 10 e 5.


[…] Una mattina Marques Johnson, ex Crenshaw HS e UCLA, vide un 40enne in pantofole, annoiato dagli eterni tempi fotografici, isolarsi con un pallone. Pioveva anche quel giorno. Fate 15 in fila.”

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